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mercoledì 31 maggio 2017

BAYWATCH (2017) DI SETH GORDON




Quanto state per leggere potrebbe urtare la vostra sensibilità. Io vi ho avvertiti. 
Premessa doverosa: non che ci si aspettasse un capolavoro neorealista, visto che il film in questione è una trasposizione cinematografica di una serie TV alquanto Trash che ha dominato i palinsesti pomeridiani di tutte le TV nel mondo, ma a tutto c'è un limite. Quello che ci si aspettava da Baywatch era un film che viaggiasse sulla stessa falsariga di pellicole demenzial-trash come Starsky and Hutch di Todd Phillips (tanto per rimanere in tema Serie TV) o Come ammazzare il capo e vivere felici, dello stesso Seth Gordon, regista anche della pellicola in questione. La lista dei film dai quali gli scrittori della sceneggiatura e il regista di Baywatch potevano (dovevano?) trarre spunto potrebbe essere anche più lunga, ma vi risparmio la fatica. 


La serie TV penso che la conosciate tutti: Bagnini atletici, Bagnine sexy e Mitch Buchanan salvano bagnanti da morte certa sulle spiagge di Malibu, con sottofondi musicali anni '90 e storie di contorno a metà tra il moralistico e il puro trash. Da qui parte anche Seth Gordon, avvalendosi di attori del calibro di Dwayne "The Rock" Johnson (Mitch), Zack Efron (Matt Brody) e Alexandra Daddario (Summer) e altri sconosciuti attori e attrici, di discutibilissimo talento (non che i primi tre siano i novelli Marlon Brando, Robert De Niro e Meryl Streep, eh). 


Poi la trama prende una piega da film d'azione/crime/poliziesco e quasi ci dimentichiamo che i protagonisti siano, in fin dei conti, dei semplici Bagnini, palestrati e sexy quanto volete, ma pur sempre degli stramaledetti bagnini che, invece di sorvegliare le spiagge, se ne vanno in giro notte e giorno, mostrando tette, culi e bicipiti, a scovare criminali manco fossero dei membri di CSI. 
Ma non è nemmeno questa la pecca peggiore del film. Di per sé ci starebbe anche una trama stravagante. Quello che rende Baywatch una porcheria invereconda è il copione, pieno zeppo di volgarità gratuite e gag falliche imbarazzanti (talmente tanto da rimpiangere le scene dei cinepanettoni con rutti e scoregge a far da colonna sonora) ma anche la regia e il montaggio sono da censura. Ripeto, non che ci aspettassimo un capolavoro della Nouvelle Vague, ma almeno la sequenza logica dei movimenti degli attori in scena, quella sì, che ce l'aspettavamo. 


Per non parlare degli effetti speciali degni del peggior film Asylum. Ovviamente non si può negare che qualche risata, qua e là, Baywatch la strappi, ma è davvero troppo poco per un film che sarebbe potuto risultare apprezzabile, seppur trash e volgare, solo gestendone in maniera non dico perfetta, ma quantomeno più ordinata i suoi elementi fondamentali, ovvero sceneggiatura, regia e montaggio. 
Camei di David Hasselhoff e Pamela Anderson totalmente dimenticabili, oltre che brevissimi. 
Bocciato su tutta la linea, aridatece Lino Banfi che spia la Fenech sotto la doccia!!!   
Il film uscirà nelle sale dal giorno 1 giugno.
Voto: 1+ (il più solo per i titoli di testa).
Luca Cardarelli


WONDER WOMAN (2017) DI PATTY JENKINS [NO SPOILER]



Finalmente posso scrivervi di Wonder Woman, quarto film del DC Extended Universe, nato, come tutti ben sappiamo, con Man of Steel di Zack Snyder nel 2013, per contrastare il dominio fino ad allora indiscusso ed indiscutibile del Marvel Cinematic Universe, più grande di un quinquiennio (2008, Iron Man). Come sempre, sin dal film capostipite di questo Universo condiviso, ciò che accompagna l'uscita di un film di casa Warner sono sempre pregiudizi, perplessità, paure (ma molto più spesso convinzione) che sarà un flop sia dal punto di vista tecnico che meramente economico. Ma, anche dopo la visione del film, il pubblico sarà diviso tra detrattori coi paraocchi, fan accaniti che mai e poi mai ne ammetterebbero obiettivamente anche solo un difetto, critica scientifica che ne analizza ogni singola sfumatura (manco fossimo di fronte a Godard o Vittorio De Sica) e blogger (oh, maledetti blogger!!!), come chi scrive, che tentano di mediare tra giudizio di testa e di pancia. 


Ebbene: Wonder Woman. Patty Jenkins, prima donna nella storia a dirigere un Cinecomic, già regista di Monster (Oscar e Golden Globe a Charlize Theron come miglior attrice protagonista nel 2004), ci porta a Themyscira (per l'occasione le riprese hanno avuto come sfondo gli splendidi paesaggi di Palinuro, Marina di Camerota e Matera), l'Isola delle Amazzoni, dove nacque e crebbe la Principessa Diana, figlia di Hippolyta e Zeus. Ma un giorno Steve Trevor (Chris Pine), un soldato spia inglese, precipita sull'isola, fino ad allora resa invisibile al Mondo dell'Uomo e al malvagio Ares dio della Guerra, e rende edotta Diana, nel frattempo cresciuta ed interpretata da Gal Gadot, sugli orrori della Guerra che sta devastando il Mondo, la Prima Guerra Mondiale. Diana, cresciuta a pane e Spada, decide di seguire Trevor per provare a porre fine alla Guerra, in nome degli ideali di Pace ad ella impartiti dalla Madre Hippolyta (Connie Nielsen) durante la sua infanzia.
Con la trama non ci si spinge oltre, per evitare gli odiosi spoiler.


Quando si tratta di Cinecomics, come preannunciato, bisogna porsi con uno spirito critico diverso rispetto a quando ci si trova davanti a film di spessore (sia tecnico che narrativo). Ebbene, dopo la visione di Wonder Woman, possiamo sicuramente affermare che il suo dovere lo fa fino in fondo. La pellicola infatti intrattiene, non annoia quasi mai (dopo arriviamo al "quasi") e presenta una bella caratterizzazione della Protagonista, dei Villain e anche dei personaggi secondari. La colonna sonora, il cui tema principale era già stato ampiamente annunciato durante Batman V Superman - Dawn of Justice, risulta accattivante e, per questo, soddisfacente, e la fotografia alterna filtri tipici del cinema di guerra alla "Salvate il Soldato Ryan", ad altri usati nel Fantasy, connotati dall'estrema luminosità ed iridescenza. La storia ha sì uno sviluppo basico, ma non per questo risulta deludente, anzi, questo fattore favorisce la comprensione del film che va da un punto A a un punto B senza inutili gincane narrative. Infine sono da apprezzare le interpretazioni di Gal Gadot e Chris Pine, che formano una coppia ben assortita e forniscono la giusta dote di fascino e carisma ai loro personaggi. 


Sicuramente Wonder Woman presenta non pochi punti deboli, ed ecco che arriviamo anche al  famoso "quasi": Il film inizia con 15 minuti di spiegone introduttivo (quello sì, alquanto noioso), talmente lungo da poter essere utilizzato come sceneggiatura per un ipotetico, ulteriore, Origin Movie sulle figure di Ippolita, Zeus e Diana. Ma forse il più evidente dei punti deboli del film è la CGI che, a tratti, risulta grossolana facendo perdere allo stesso quell'aura epica sbandierata nei trailer promozionali. Poi, e qui non sappiamo se è solo un problema da ascrivere alla loro traduzione o direttamente alla loro scrittura, i dialoghi spesso scadono nel banale e, anche se solo minimamente, nella comicità involontaria (non esente da pecche anche il doppiaggio, apparso poco curato). 


Forse si tratta di un eccesso di competitività con i rivali di Marvel-Disney. Ma quelli della DC-Warner farebbero bene ad andare per la loro strada, proponendo la LORO idea di Cinecomic, invece di fare un'inutile guerra ai rivali in nome di non si bene quale ideale cinematografico. Per concludere con i fattori negativi, l'uso scriteriato ed eccessivo delle Slow Motion, ingrediente, questo, che fa pensare che Patty Jenkins abbia subìto l'ingerenza di Zack Snyder nel girare le scene d'azione le quali, comunque, risultano ugualmente piacevoli e ben realizzate. 
Nota di colore: pur non essendoci una scena post-credit, sono stati fatti enormi passi avanti per quanto riguarda la presentazione del Brand DCEU ad inizio film, i titoli di coda animati e persino alcune gag sono apparse sensate e simpatiche (e non messe a caso, così, solo per rendere meno cupo il prodotto finale) durante lo svolgimento del film (e qui, forse, la DC Warner si è un po' Marvelizzata). 


Tirando le somme, Wonder Woman è un cinecomic apprezzabile negli intenti e in gran parte della sua realizzazione, introduce un personaggio relativamente nuovo e lo fa quasi nel migliore dei modi, nell'ottica del Progetto della Justice League che, se tutto va come deve andare, sarà il film che farà fare il tanto desiderato (dai fan DC e dagli appassionati di Cinecomic in generale) salto di qualità. La strada è quella giusta.  
Il film sarà nelle sale italiane dal giorno 1 giugno. 
Voto: 7,5.
Luca Cardarelli



martedì 16 maggio 2017

I PEGGIORI (2017) DI VINCENZO ALFIERI



Cavalcando l'onda del ritrovato cinema di genere nostrano, I Peggiori, scritto, diretto ed interpretato da Vincenzo Alfieri (al suo esordio cinematografico dietro la macchina da presa), si accoda ai recenti "Lo chiamavano Jeeg Robot", "Song 'e Napule" e "Smetto quando voglio" traendone nello stesso tempo ispirazione e mescolandone gli elementi che li hanno resi innovativi con altri appartenenti ai classici film comici "di coppia" all'italiana. 


I Fratelli Massimo (Lino Guanciale) e Fabrizio (Vincenzo Alfieri) Miele, romani trapiantati a Napoli, convivono con la sorella tredicenne Chiara (Sara Tancredi). Afflitti dalla mancanza di denaro e con il Giudice deciso per questo a togliere loro l'affidamento della sorellina, decidono di intraprendere la via del crimine, andando a derubare Durim, il losco capo albanese di Massimo. Introducendosi nel suo ufficio, convinti di trovare molti soldi, trovano invece un sacco di passaporti, quelli appartenenti ai  colleghi extra comunitari di Massimo e tenuti in ostaggio. Quando la polizia scopre il misfatto, trova sul luogo del delitto quella che sembra la firma di una banda anonima di giustizieri mascherati. Il Web si scatena, li soprannomina "I Demolitori" e i due fratelli iniziano la loro carriera di giustizieri a pagamento. 


Nonostante parta da un'ottima idea iniziale, non sono pochi i difetti che I Peggiori presenta, sia a livello di scrittura che di realizzazione. Innanzitutto la coppia Guanciale - Alfieri non convince. La loro comicità sembra essere il frutto di un tentativo di scimmiottamento delle coppie storiche del cinema italiano, da Totò e Peppino in poi. Il risultato che si ottiene, però, è una comicità alla Boldi - De Sica. Certo, ci sono alcuni siparietti che strappano delle risate, ma sono solo lampi isolati e facilmente dimenticabili. 


Le battute in dialetto napoletano della sorellina spesso risultano incomprensibili (ai non napoletani) e per questo appesantiscono ulteriormente la sensazione di occasione sprecata che si ha guardando questo film. La critica sociale diventa solo un pretesto per l'inserimento di scene pensate per bilanciare la comicità con la tensione da noir e il finale lascerebbe presagire un secondo capitolo che, a questo punto, è improbabile che venga realizzato. 


Sebbene siano presenti questi pesanti difetti, potrebbe risultare un film piacevole da guardare per il pubblico della domenica pomeriggio, ma è molto probabile che chi ha realizzato il film avesse un target ben diverso.
Il lato positivo è che comunque in Italia si stia continuando a proporre un genere di cinema "nuovo", quanto meno nelle intenzioni, che si frapponga tra il cinema d'autore e gli odiosi cinepanettoni. La strada è quella giusta. Avanti così.
I Peggiori uscirà nelle sale italiane il 18 maggio.
Voto: 6,5.
Luca Cardarelli


ORECCHIE (2016, B/N) DI ALESSANDRO ARONADIO



Non sempre si ha la possibilità di visionare film indipendenti scritti e diretti da giovani registi italiani, perciò, appena se ne ha la possibilità, si ha il dovere di andare a vederli. 
Orecchie è un film del 2016 diretto da Alessandro Aronadio che figura anche come sceneggiatore in coppia con Valerio Cilio. Il protagonista è "Lui"/Daniele Parisi (al suo esordio nel cinema) che una mattina si sveglia con un fischio alle orecchie e una terribile notizia scritta su di un post-it attaccato al frigorifero: "Il tuo amico Luigi è morto", recita il biglietto scritto dalla sua ragazza Alice/Silvia D'Amico, che lo ha anche lasciato a piedi, avendo preso la macchina per dirigersi al lavoro. Il problema è che Lui non sa chi sia questo Luigi, o meglio, non ricorda di avere amici con quel nome. E allora esce. Prima cosa, vuole riuscire a stabilire da cosa derivi il suo fischio alle orecchie. Seconda, capire chi sia Luigi e andare al suo funerale fissato per la sera stessa. 


Sarà un viaggio itinerante per Roma durante il quale Lui si troverà di fronte a situazioni paradossali, talvolta comiche, altre volte grottesche, nonché a persone a dir poco stravaganti (tra le quali un otorino laringoiatra, la sua mamma, un prete e un rapper italo-coreano idolo dei teen ager). Seppur le situazioni vissute siano al limite della realtà, Lui ne trarrà insegnamenti molto utili per la sua vita personale e la sua relazione con Alice. 


Prima cosa da apprezzare di Orecchie è sicuramente la scelta del bianco e nero. Le scene rimangono più impresse nella mente quando non sono a colori. Almeno, per chi scrive. Molti registi utilizzano questa tecnica per descrivere situazioni irreali, sogni, ricordi o semplicemente per sottolineare l'unicità dell'evento descritto. E qui siamo di fronte ad un susseguirsi di situazioni che rispondono a dette caratteristiche. Poi la regia, seppur molto spartana, è molto aderente al tipo di storia raccontata. Inquadrature fisse, spesso in formato 1:1, primissimi piani, amore per i dettagli, lunghi silenzi durante i quali a parlare sono le immagini


Infine il protagonista estremamente coinvolgente con la sua buffa mimica facciale e le sue reazioni spesso frenate a stento da un grande self control. Gradevoli, inoltre, i cameo di attori noti come Massimo Wertmüller, Milena Vucotić, Piera Degli Esposti e Rocco Papaleo.
Fa un po' dispiacere che film come questo non vengano valorizzati dal sistema di distribuzione cinematografica italiana, molto più orientato sui guadagni che sulla effettiva qualità dei prodotti. Orecchie è un film piacevole che, a dispetto del basso budget e al cast relativamente sconosciuto, si rivela un ottimo prodotto che fa ben sperare per il futuro del cinema italiano. 
Orecchie uscirà nelle sale italiane il 18 maggio.
Voto: 8/10.
Luca Cardarelli



mercoledì 10 maggio 2017

KING ARTHUR - IL POTERE DELLA SPADA (2017) DI GUY RITCHIE (NO SPOILER)


Il buon Guy Ritchie ritorna dietro la macchina da presa dopo l'ultima sua fatica (Operazione U.N.C.L.E., 2015) che aveva disorientato un po' tutti, essendo molto distante (ancor di più rispetto ai due film dedicati a Sherlock Holmes) da Lock & Stock - Pazzi scatenati (1998) e Snatch - Lo strappo (2000), film che, per molti, anzi quasi per tutti, rimangono i suoi capolavori. Questa volta il cineasta britannico si cimenta nella direzione di un film in cui storia, mitologia e azione si mescolano vorticosamente tra loro: King Arthur - Il potere della spada, che narra la leggenda di Re Artù (Charlie Hunnam) e di come questi si impossessò del Regno soffiatogli a sua insaputa, dopo la morte del Padre Uther (Eric Bana), dallo zio Vortigern (Jude Law)


C'era il timore che Guy Ritchie avesse perso lo smalto e la brillantezza che lo avevano reso popolare, soprattutto dopo la visione dei primi trailer promozionali del film. Si aveva come l'impressione che la  Warner Bros (che ultimamente ne sta combinando una più di Bertoldo) avesse imposto al regista una limatura dei suoi tratti distintivi a favore della fruibilità del prodotto. Si temeva, in poche parole, di vedere un film anonimo e, francamente, anche un po' noioso. Ma, fortunatamente, erano solo impressioni, in quanto in King Arthur c'è tutto quello che i fan di Guy Ritchie pretendono dai suoi film: ritmo, humor e moltissima azione (si sfiora, a tratti, la "fracassonata"). Due ore piene che scorrono veloci come non mai, due ore durante le quali non c'è assolutamente spazio per la noia. Anche dal punto di vista tecnico il film non si discute. 


Forse si è un po' esagerato con le Slow-motion (neanche Zack Snyder ne ha mai fatto un uso cosi smodato) ma, sostanzialmente, facciamo fatica a scorgere in questa pellicola difetti tali da inficiare sulla qualità del prodotto. Ha fatto molto piacere vedere applicati ad un film del genere espedienti tecnici (montaggio alternato, dialoghi al fulmicotone, cura maniacale per i dettagli) tipici del pulp di stampo Ritchiano che richiamano, come già sopra ricordato, i fasti di fine anni '90-inizio 2000


Nota di colore, un inaspettato quanto gradito e strappasorrisi cameo di una grandissima celebrità, nella parte del soldato che spiega ad Artù come impugnare la Spada quando questi si accinge ad estrarla dalla proverbiale Roccia. Dopo il grande Vinnie Jones, infatti, Ritchie porta davanti alla Macchina da presa nientepopodimeno che lo Spice Boy David Beckham. Da applausi.


Ritchie ha, ancora una volta, dimostrato tutto il suo talento e la sua creatività raccontandoci in maniera originalissima una delle storie sulle quali si pensava non ci fosse più nulla da dire, per il numero enorme di film (live action e d'animazione) e serie tv ad essa ispirati. 
King Arthur - Il potere della spada sarà visibile al cinema dal giorno 10 maggio
Da non perdere assolutamente.
Voto: 8/10
Luca Cardarelli