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venerdì 31 gennaio 2014

AHI, FRANKENSTEIN... AH NO, I FRANKENSTEIN.


Titolo originale: I Frankenstein;
Anno: 2013;
Paese: USA/Australia;
Genere: Fantasy/Fantascienza/Azione
Durata: 93 min;
Regia: Stuart Beattie (anche sceneggiatore);
Cast: Aaron Eckhart/Adam; Yvonne Strahovsky/Terra; Bill Nighy/Naberius; Miranda Otto/Leonore; Jay Courtney/Gideon; Kaitlin Stasey/Keziah.
Voto: 2/10. 
Trama: la creatura cui il Dr. Frankenstein donò la vita assemblando parti di cadaveri umani, uccide il suo creatore e la moglie. Minacciato dai demoni di Naberius, viene salvato da alcuni Gargoyle e portato nel loro rifugio. Adam, così chiamato per volere della regina dei Gargoyle, viene informato della guerra in atto tra questi e i demoni. Inizialmente egli si rifiuta di collaborare e fugge nei luoghi più remoti e freddi della terra per sfuggire ai demoni. Duecento anni dopo questi avvenimenti, Adam torna alla civiltà e lì scopre che Naberius vorrebbe impossessarsi del diario del Dr. Frankenstein per creare un esercito di soldati immortali e così decide di unirsi ai Gargoyle nella battaglia.



"POVERA MARY SHELLEY!!!" è l'esclamazione fuoriuscita dalla bocca di chiunque abbia visto questo "seguito" cinematografico (tratto da una graphic novel di Kevin Grevioux) dell'immortale romanzo "Frankenstein". Se avesse saputo che un giorno qualcuno avrebbe dato un seguito talmente vomitevole al suo capolavoro, sarebbe stata sicuramente la prima a volere il ritiro immediato del suo romanzo dal commercio librario. 


Non si può mischiare un così bel romanzo, con una patetica, oscena e ridicola storia che ricalca (male, molto male!!!) anche le orme di altri capolavori quali Dylan Dog e Dracula, con qualche sfumatura, Santiddio, di Twilight, ShadowHunters e altre favole "Young Adult" che vanno tanto di moda oggi. Il tutto con una buona dose di "Cristianesimo" che non fa mai male. Un meltin pot viscido e orripilante di storie, generi, personaggi e credenze popolari, condensate in un'ora e mezza di pura noia (si sa già come va a finire sin dal 15esimo minuto della pellicola) in cui l'emozione più grande è stata sentire la canzone dei titoli di coda. Pessimo. 

giovedì 30 gennaio 2014

IL GRANDE MATCH


Titolo originale: Grudge match;
Anno: 2013;
Paese: USA;
Genere: Commedia;
Durata: 113
Regia: Peter Segal;
Sceneggiatura: Tim Kelleher, Rodney Rothman, Doug Ellin;
Cast. Sylvester Stallone/Henry "Razor" Sharp; Robert De Niro/Billy "The Kid" McDonnen; Kim Basinger/Sally; Alan Arkin/Louis "Lightning" Conlon; John Berntal/B.J. Anderson; Kevin Hart/Dante Slate Jr.
Voto: 6/10 (di stima).


Trama: Il figlio di un ex impresario della boxe, per uscire dallo stato di povertà in cui vive, decide di far partecipare due vecchie glorie della boxe americana, Henry Sharp, detto Razor, e Billy McDonnen, detto The Kid, al lancio di un videogioco sulla boxe. Il primo non se la passa bene in quanto, dopo aver chiuso la propria carriera, è finito a fare l'operaio in una fabbrica siderurgica, il secondo invece ha un ristorante e intrattiene il pubblico con sketch più o meno divertenti. Quando si incontrano si azzuffano e la scena finisce su tutti i social network. Visto che trent'anni prima si erano scontrati sia sul ring che fuori, a causa di Sally, ex fidanzata di Razor, che aveva tradito proprio con Billy, per regolare definitivamente i conti i due allora decidono di sfidarsi un'altra volta, stavolta in un incontro vero, sul ring.


Per ammazzare il tempo in attesa di andare a vedere il FILMONE di cui tutti parlano in questi giorni (precisamente andrò a vederlo sabato 1 febbraio), ho deciso di dedicarmi a questa pellicola semiseria che mi aveva stuzzicato sin dal primissimo trailer: il Grande Match, ovvero vecchietti alla riscossa. E' un po' di tempo che assistiamo a queste risurrezioni artistiche da parte di attori che la loro, dal punto di vista dell'action, l'hanno già detta e ridetta: basti pensare a film come I Mercenari (con una carrettata di attori prossimi alla pensione, alcuni pronti anche per qualcosa che va più in là, come il Ranger Texano dall'ispida barba ma dal calcio rotante ancora molto facile, di nome Chuck Norris), o a R.E.D. dei vari Bruce Willis, John Malkovich e compagnia cantante e ballerina. Ebbene, anche il Grande Match può benissimo essere accodato a questi filmetti, che però, cifre alla mano, piacciono a molti (nelle sale da poco c'è anche la versione geriatrica di "Una notte da Leoni", leggi "Last Vegas").
Speravo che De Niro e Stallone non si prendessero troppo sul serio nel fare questo film: speranza soddisfatta nel momento in cui me li sono visti sullo schermo vestiti con una orripilante tutina verde addobbata di tante lampadine, nella scena in cui dovevano essere oggetto della motion capture per la realizzazione di un videogame pugilistico. Quindi non possiamo di certo inveire contro quest'opera che tutto è tranne che un seguito dei vari Rocky o di Toro Scatenato (CI MANCHEREBBE ALTRO!!!!). Eppure i due filmoni appena citati sono presentissimi in questa commediola da anni azzurri. Già, ma mai in maniera da farti reagire abbandonando la sala in un moto isterico di raccapriccio. Rocky e Jake sono presenti in immagini e foto e anche i tratti distintivi fanno pensare che i due personaggi siano gli stessi (infatti De Niro fa il cabarettista, dopo aver smesso con la boxe) e Stallone, in una scena dove sono presenti dei quarti di bue appesi, è tentato di prenderli a pugni come faceva in Rocky, salvo poi venire fermato dall'allenatore che gli impone di non prendere a pugni "la cena". Anche l'allenatore di Razor, Lightning (un simpatico Alan Arkin) ricorda molto il Mickey della saga dello stallone italiano (sebbene sia morto in Rocky 3 durante il primo incontro con Mister T/Lang): Mickey era sordo, Lightning invece deambula con uno scooterino a quattro ruote e viene prelevato dallo stesso Razor da una casa di riposo per anziani. E poi c'è Kim Basinger, che è un po' la "Elena di Troia" della vicenda. Anche se palesemente invecchiata è sempre bella, a differenza del doppiaggio con una voce da "telefonista erotica" che le hanno appioppato (e poi, sempre a proposito di doppiaggio, mi devono spiegare perchè magicamente uno che si chiama McDonnen abbia l'accento napoletano). Numerose gag strapparisate come quella dell'immersione dei pugni in un liquido ambiguo (spacciato per aceto, ma in realtà è "piscio di cavallo", o forse no?), per rendere più dura la pelle, o quella citata delle tutine verdi. 


Ma abbiamo anche momenti un po' più seri, che implicano i rapporti con la famiglia o figli nati e cresciuti senza conoscere il proprio padre. Insomma, cose trite e ritrite che vediamo in nove film americani su dieci.
Per quanto riguarda la storia, non c'è molto da dire, prevedibilmente tutto va come previsto. Il Grande Match è un film che diverte e tenta, invano, di commuovere (perchè sai già come va a finire). Tutto sommato non è la porcheria che mi aspettavo, pur rientrando in pieno nella categoria dei film dimenticabili.  

martedì 28 gennaio 2014

THE COUNSELOR - IL PROCURATORE

Titolo originale: The Counselor.
Anno: 2013.
Paese: USA.
Durata: 117 min.
Genere: Thriller/Drammatico.
Regia: Ridley Scott.
Sceneggiatura: Cormac McCarthy.
Cast: Michael Fassbender/il procuratore; Javier Bardem/Reiner; Cameron Diaz/Malkina; Penelope Cruz/Laura; Brad Pitt/Westray; Bruno Ganz/Avvocato messicano;
Voto: 4/10


Trama: Un integerrimo procuratore (o avvocato, chissà), innominato per tutto il film, seppur estremamente benestante (macchinone extralusso, villa extralusso, fidanzata extragnocca), decide di bruciare la sua immagine da onesto cittadino addentrandosi in un losco quanto redditizio (20 milioni di dollari) traffico di droga di un cartello sudamericano, mettendo in pericolo la vita della fidanzata promessa sposa e la propria. 

Fassy: "Dì un po' Penny, ma tu c'hai capito qualcosa?" 
(ecco l'emblematica espressione della Cruz in risposta)

Dunque: personaggi che spuntano fuori dal nulla e nel nulla tornano, dialoghi senza senso, masturbazione automobilistica, pesci palla, cunnilingus, snuff movies, telefonate con interlocutori sconosciuti, torture messicane: tutto questo è "The Counselor". E meno male che alla regia c'era Ridley Scott con in mano una sceneggiatura di Cormac McCarty.

Pitt: "Ehi, Fassy , c'hai capito qualcosa di sto filmaccio?"
(altrettanto emblematica espressione interrogativa del bel Fassy)

Io le avevo lette le recensioni di chi ha visto prima di me questo "Melting pot" cinematografico. Ma mi sono detto: "Fregatene, magari scopri che è un capolavoro..." E invece... "The Counselor" ha una trama sulla carta semplice, ma sulla pellicola resa in maniera oscena, talmente oscena che si fa fatica a capire. I personaggi sono pessimamente e minimamente delineati (entrano ed escon di scena senza che si sappia chi siano e perchè), assistiamo a conversazioni telefoniche in cui non si sente cosa dice uno degli interlocutori, ci vengono proposte scene di sesso grottesche (quella del "pesce gatto" vince il premio come miglior scena Waddaffuck dell'anno, come la collega Bolla mi ha suggerito, giustamente) e anche due scene estremamente splatterose che nemmeno Rodriguez in un attacco di sadismo visivo... Ridley Scott ci propone con "The Counselor" un guazzabuglio di situazioni al limite della sopportazione. Per carità, il cast non è niente male, ma a Cormac Mccarthy deve essere andata di traverso la cena del giorno prima di mettersi a scrivere la sceneggiatura, e lo stesso Ridley Scott non è da meno. 
Tutto sto casino di fatti, misfatti, cadaveri, selvaggi omicidi sadici e supercazzole, e la scena che mi è rimasta più impressa di tutto il film? 
Ma ovviamente questa:

IL PESCE GATTO!!!!

sabato 25 gennaio 2014

LA VERITA' IN TASCA, IL CERVELLO IN SOFFITTA.

Messe da parte per un momento le recensioni, voglio usare il mio blog, almeno per una volta, per sfogarmi. Sfogarmi perchè, in questi sette mesi (il blog è nato a giugno 2013), ho imparato a districarmi nel sentiero tortuoso della "critica cinematografica ai tempi di Facebook", distinguendo chi scrive solo per darsi un tono da novello Mereghetti (o Morandini, o Farinotti, insomma, avete capito), da chi, come me, scrive sul cinema per pura e semplice passione, più o meno con cognizione di causa (e devo dire che alcuni, di questa cognizione di causa, ne hanno da vendere) e per poter discutere allegramente, civilmente e costruttivamente, con altri "colleghi" conosciuti grazie a questa passione. Alla seconda categoria appartiene il maggior numero di utenti facebook, dei quali fanno parte anche coloro i quali ho avuto il piacere di conoscere da quando mi sono addentrato in questa bellissima avventura. Ma alla prima,  quella dei "so tutto io, ed è così perchè lo dico io", appartiene veramente un sacco di gente, ma tanta tanta tanta, che, con un po' di spocchia in meno, e un po' più di buon senso, potrebbe benissimo rientrare nella categoria alla quale io, degnamente o indegnamente, ritengo di appartenere. 
E di queste persone io voglio scrivere: quelli che "in questo film ci sono i buchi di sceneggiatura", quelli che "questo film fa schifo", quelli che "quel regista ha commesso degli errori di regia imperdonabili". E poi? Poi mettono un bel punto alla loro affermazione senza dare un benchè minimo alone di motivazione. Perchè? Perchè è comodo dare sentenze. E' comodo poi rispondere alle legittime obiezioni "perchè è così", o "perchè sì" o "perchè no". E allora si giunge ad un bivio: litigare in una sequela di commenti che non portano mai da nessuna parte o lasciare perdere, ma con l'animo turbato dal fatto che se solo questi professori scendessero dal trono che si sono messi sotto il sedere per chissà quale merito essi pensino di avere, si potrebbe discutere civilmente e costruttivamente come giusto sarebbe in una materia così piena di sfumature, opinioni e punti di vista diversi quale è il cinema. 

lunedì 20 gennaio 2014

KHUMBA – CERCASI STRISCE DISPERATAMENTE: quante strisce ci vogliono per fare una zebra?

Questa recensione in anteprima è stata pubblicata anche sul blog http://theoscarface.blogspot.it/ per il quale da oggi curerò le recensioni delle anteprime cinematografiche per la zona di Milano.
E' l'inizio di una nuova avventura e sono ben felice di affrontarla.


Khumba è una zebra nata con le strisce solo su metà del proprio corpo. Il branco, intimi a parte, accoglie questa sua peculiarità molto negativamente: obnubilato dalla superstizione, lo addita prima come causa della potente siccità che colpisce il gran deserto del Karoo dove vivono, poi della morte della madre. 
Con l’aiuto di una mappa disegnatagli da una mantide e la speranza di ottenere le tanto agognate strisce mancanti,  Khumba decide allora di mettersi in viaggio alla ricerca della fonte miracolosa di cui gli aveva parlato la mamma prima di morire. Durante il percorso, fisico e di crescita, troverà due fidi compagni: Mama V, un grosso gnu materno, e Bradley, uno stravagante struzzo. I tre si imbatteranno in Phango, un leopardo feroce in caccia proprio di Khumba… 
Diretto dal sudafricano Anthony Silverston, già sceneggiatore e produttore di “Zambezia” (2012) per la casa di produzione Triggerfish, Khumba – Cercasi strisce disperatamente dipinge, in una CGI di livello abbastanza alto per un film indipendente, l’emarginazione del “diverso” e la conseguente ricerca dell’accettazione da parte della comunità di appartenenza in una storia che ricorda, con le dovute differenze, quella di Dumbo della Disney.
Khumba e Phango, protagonista e antagonista, hanno in comune proprio l’umiliazione dell’emarginazione dal gruppo: il primo per l’assenza delle strisce su metà del corpo, il secondo per la sua cecità parziale. Entrambi sono alla ricerca dell’affermazione personale e dell’accettazione da parte di terzi. Khumba capirà durante il viaggio che non è importante tanto il parere degli altri, quanto il fatto di accettarsi così come si è (esisteva realmente una specie di zebra ormai estinta, il Quagga, che presentava strisce solo su metà del corpo). 
Bisogna sottolineare come ai registi sudafricani questi temi stiano particolarmente a cuore. Pensiamo a Neil Blomkamp, per esempio, e ai suoi “District 9” ed “Elysium”: entrambi i film, infatti, si basano su storie di divisione sociale o etnica.
Silverston si rivolge al pubblico dei più giovani con l’intento di evidenziare come la diversità, in questo caso solo fisica, non sia un valido motivo per escludere qualcuno dal gruppo: ciò che può essere visto come una menomazione può invece rappresentare semplicemente una peculiarità o addirittura una preziosa caratteristica di cui andare fieri.
Oltre all’intento morale, Silverston ha diretto Khumba col dichiarato scopo di far conoscere ed apprezzare le meraviglie che si celano dietro un paesaggio apparentemente arido ed inospitale come quello del Gran Deserto del Karoo: molti degli “anfratti” che si scorgono durante il viaggio di Khumba sono riproduzioni fedelissime della realtà. Ne viene fuori un bellissimo quadro che presenta, inoltre, una moltitudine di personaggi: il cane selvatico Skalk, la mantide che segue Khumba come se fosse il suo angelo custode (reminiscenze del collodiano Grillo Parlante), lo gnu materno Mama V e lo struzzo Bradley (personaggi assimilabili al Mammuth Manny e al bradipo Sid de “L’era Glaciale”). 
Risultano inoltre molto apprezzabili altri numerosi personaggi che danno vita a gag strapparisate:  il branco di antilopi “rugbyste”, la famiglia di suricati (talmente abituati ai turisti dei safari che si mettono addirittura in posa per le foto di rito!), il coniglio di fiume ribelle, la tribù di iraci delle rocce che venera una oscura aquila nera e la pecora pazza con un elmetto da ariete formano una collezione faunistica molto accurata nei dettagli, divertente e ben caratterizzata. 
Tra i fattori che rendono molto piacevole la visione di Khumba troviamo certamente la colonna sonora, che alterna musiche tradizionali africane a pezzi moderni tendenti al country, ed il cast scelto per il doppiaggio originale: Liam Neeson ha prestato la propria voce a Phango, l’ex Iena Steve Buscemi al cane selvatico Skalk (un caso?) e Laurence Fishbourne (il Morpheus della trilogia di Matrix) al papà di Khumba, Seko.
Se dobbiamo proprio trovare un difetto, il cattivo è forse messo un po’ troppo in disparte: comparendo relativamente poco durante tutto il film, non crea la suspance che un leopardo in caccia dovrebbe suscitare ed anche il combattimento finale finisce per risultare leggermente sbrigativo e poco emozionante. 
Ci sentiamo di promuovere questo film d’animazione, sia per quanto riguarda la grafica (più matura rispetto ai classici film sul genere di “Madagascar”), sia per la sceneggiatura che per i nobili intenti educativi.
Al cinema dal 6 febbraio.


venerdì 10 gennaio 2014

AMERICAN HUSTLE - L'APPARENZA INGANNA


Titolo originale: American Hustle;
Anno: 2013;
Paese: USA;
Genere: Drammatico;
Durata: 138 min;
Regia: David O. Russel;
Voto: 7+
Cast: Christian Bale/Irving Rosenfeld; Amy Adams/Sydney Prosser; Bradley Cooper/Richie Di Maso; Jennifer Lawrence/Rosalyn Rosenfeld; Jeremy Renner/Carmine Polito; Robert De Niro/Victor Tellegio.
Trama: Irving Rosenfeld gestisce una catena di lavanderie parallelamente ad un traffico di opere d'arte false. E' sposato con Rosalyn (che ha avuto un figlio da un precedente matrimonio), ma è sostanzialmente separato. Dopo aver conosciuto Sydney se ne innamora e scopre che è molto abile nel truffare, come lui d'altra parte. Mettono su un'agenzia di intermediazione finanziaria che però invece di procurare soldi ai clienti in disperata cerca di prestiti bancari, se li intasca e basta. La polizia, in persona di Di Maso, dopo averli beccati, propone loro di liberarli se questi collaboreranno nell'operazione che poi verrà denominata "Abscam", che coinvolgerà membri del congresso americano collusi con la mafia.


Già dai titoli di testa, in rigoroso stile anni '70 (che ricordano un po' anche quelli a cui è molto affezionato Tarantino), si intuisce che quello che sta iniziando non è un film come tutti gli altri. La fotografia sgranata, un Christian Bale imbolsito (eufemismo)


che si sistema i capelli posticci davanti allo specchio, vestito come un nobile d'altri tempi, riassume un po' tutte le caratteristiche dell'opera ultima di David O. Russel, balzato agli onori della cronaca per il suo "Silver linings playbook", meglio conosciuto in Italia come "Il lato positivo". Un film che si guarda allo specchio, che si fa i complimenti da solo, American hustle. Un film in cui il più lo fanno gli attori, bravissimi tutti, nessuno escluso, ad entrare perfettamente nei ruoli. Russel ci mette il suo, citando giganti quali Tarantino (alcune inquadrature o gesti dei personaggi presi pari pari da Pulp Fiction), Scorsese (ambienti, colonna sonora e dialoghi), e anche Soderberg (per la trama intricata e deviante). Un film che dà l'effetto del gioco delle tre carte, dove non capisci mai chi è il truffato e chi il truffatore, chi è il buono e chi il cattivo. E se pensi di averlo capito, non ne sei poi così tanto sicuro. 138 minuti di dialoghi serrati, di immagini grottesche miste ad altre drammatiche. Un film verboso, verbosissimo. Un esercizio di stile da parte di Russel, che si crogiola un po' e ci dice: "Guardate, avete visto che figo che sono?". L'ambientazione film permette ed autorizza tutto ciò. Sono gli anni '70. La fine. Un esplosione di colori e sensazioni contrastanti che creano il caos americano a cui si riferisce il titolo originale (American Hustle, in cui hustle è sì "Truffa" ma anche "movimento frenetico" e, appunto "caos").
Infine è da  sottolineare una colonna sonora da 10 e lode impacchetta alla perfezione le atmosfere seventies della pellicola. (Anche se il balletto in stile "Desperate Housewife" della Lawrence sulle note di Live and Let die di McCartney l'ho trovato un po' "di troppo").
Peccato per il finale un po' sbrigativo, proporzionalmente alla durata del film, ma sostanzialmente è un film che merita tutti gli elogi che sta ricevendo sia dalla critica che dal pubblico. Come già anticipato, gran merito della riuscita del film è da attribuire agli attori, in particolare a un Bale fenomenale, Bradley Cooper in una delle sue migliori interpretazioni e la coppia femminile Adams-Lawrence, entrambe degne dell'Oscar. Menzione particolare per Jeremy Renner, con un pettinatura da spavento, ma anche lui in grandissima forma.


Come si dice, se il buongiorno si vede dal mattino, il 2014 sarà un grande anno, almeno cinematograficamente parlando. (E ora inizia, anzi, continua la trepidante attesa per The Wolf of Wall Street, che promette fuoco e fiamme!!!).




giovedì 2 gennaio 2014

I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY



Titolo originale: The secret life of Walter Mitty;
Anno: 2013;
Paese: USA;
Durata: 114 min;
Genere: Commedia/sentimentale/avventura/fantastico;
Regia: Ben Stiller;
Cast: Ben Stiller/Walter Mitty; Kristen Wiig/Cheryl Melhoff; Adam Scott/Ted; Sean Penn/Sean O'Connell;
Voto: 5.
Trama: Walter Mitty è un editor fotografico del Magazine "Life"e vive in un mondo tutto suo, in cui si vede capace di tutto, anche per sfuggire alla noia della routine. Il lavoro poi lo costringerà a realizzare ciò che fino a quel momento aveva solo sognato di fare ad occhi aperti: recuperare un negativo inviatogli da un fotografo e andato perso. Attraverserà il mondo in cerca di quel negativo, anche per salvare il proprio posto di lavoro.


Spinto dai tanti commenti positivi, anzi positivissimi, di molti blog cinefili, ho visto questo film diretto da Ben Stiller che già ci aveva deliziato con Reality bites (giovani carini e disoccupati), Zoolander e Tropic thunder. Devo sinceramente complimentarmi per la fotografia ed i paesaggi che fanno da sfondo alle avventure semiserie di Walter Mitty costretto ad un'Odissea in cerca di quel maledetto negativo n. 25. Aggiungiamoci un amore malcelato nei confronti di una sua collega che, come lui, rischia di essere licenziata per lo sfoltimento selvaggio del personale: otteniamo un film che potrebbe essere da applausi a scena aperta ma che alla fine ti strozza l'entusiasmo. Troppo prevedibile, troppo affrettato nella conclusione, troppo poco sviluppata la componente onirica suggerita dal titolo, che viene solo abbozzata nella parte iniziale del film con un paio di scene ben confezionate ma che, dopo un po', si fanno ben dimenticare.


I sogni segreti di Walter Mitty non mi è parso dunque questo filmone di cui tutti parlano. Addirittura qualcuno l'ha messo in cima alla top ten del 2013... Poi magari sono io che sono un po' duro di testa, ma mi ha lasciato indifferente, a tratti annoiato. Di sicuro Stiller poteva far meglio. Una grande idea sviluppata maluccio. Insomma un film riuscito a metà, nè carne nè pesce, che tenta di dare un messaggio che troppi altri film hanno già inviato e di cui si sono visti già da tempo recapitare la ricevuta di ritorno: "Non fermarti di fronte a ostacoli apparentemente insormontabili, persegui l'obiettivo sempre e comunque, nonostante le ingiustizie e la cattiveria del prossimo, e la vita ti premierà."
Troppo poco. 

mercoledì 1 gennaio 2014

FROZEN - IL REGNO DI GHIACCIO


Titolo originale: Frozen;
Anno: 2013;
Paese: USA;
Durata: 108 min
Genere: Animazione/Avventura;
Casa di produzione: Walt Disney Animation Studios;
Regia: Chris Buck e Jennifer Lee;
Personaggi e Doppiatori americani/italiani: Elsa/Idina Menzel/Serena Autieri; Anna/Kristen Bell/Elisa Rossi; Olaf/Josh Gad/Enrico Brignano; Kristoff/Jonathan Groff/Paolo De Santis; Hans/Santino Fontana/Giuseppe Russo.
Voto: 8.


Trama: Elsa ed Anna sono le figlie del Re e della Regina di Arendelle. Elsa, la primogenita ed erede al trono, possiede il potere di creare il ghiaccio, che però diventa, ad un certo punto, un potere incontrollabile e pericoloso. Soprattutto quando rischia di uccidere, involontariamente, la sorella. I genitori dunque decidono di isolare completamente la figlia maggiore per proteggere la minore, alla quale fanno dimenticare l'accaduto tramite un incantesimo infertole dai Troll. Al compimento dei 18 anni di Elsa, i suoi poteri si rivelano pubblicamente durante l'incoronazione (i genitori muoiono travolti dal mare in tempesta durante un viaggio), e la stessa è costretta a fuggire, per il bene di Anna e di tutto il popolo di Erendell che la vede come una strega, dopo aver causato la glaciazione dell'intero regno. Anna, innamorata e promessa in sposa dal principe Hans delle isole del sud, cui delega il governo del regno, parte in cerca della sorella.


Non sono solito "recensire" (mi suona sempre strano questo verbo) i film di animazione ma, come già accaduto per Cattivissimo me 2, mi trovo costretto a scrivere quantomeno un elogio a questo capolavoro d'animazione firmato Disney (e non Pixar, precisiamolo). Già mi aveva molto colpito Rapunzel, e Frozen, nato dalle stesse mani, mi ha conquistato in pieno, come mai aveva fatto un "cartone animato" (sì, lo so che non è un cartone animato, ma un film d'animazione in CGI, ma sono un nostalgico).  Ispirato dalla fiaba "La Regina delle nevi" di Hans Christian Andersen, Frozen è un inno alla fratellanza, all'amore. Come per tutti i lavori Disney è molto "cantato", tanto da sembrare un musical, molto più dei precedenti. Il tutto non guasta anzi, accompagnato da eccellenti giochi grafici (la scena della creazione del castello di ghiaccio da parte della fuggitiva Regina Elsa penso sia una delle sequenze animate più belle di sempre) risulta una gioia sia per le orecchie (molto ben assemblata la colonna sonora) che per gli occhi. I personaggi più "kid service" sono il pupazzo di neve Olaf (doppiato in italiano da un bravissimo Enrico Brignano), che ama l'estate, o meglio "l'idea dell'estate", e la renna al servizio di Kristoff, Hans, muta, ma allo stesso tempo molto "loquace", che duetta brillantemente con il pupazzo di cui sopra, e la carota che questi porta come naso.


Anche la trama non è comune. Basta principi azzurri, amori eterni nati dopo uno sguardo: qui il tema centrale è l'amore tra sorelle e la sofferenza che crea il distacco forzato tra queste.  Una storia che strappa lacrime a fiotti, un meraviglioso Happy Ending (e ci mancherebbe altro) e un Twist inaspettato incorniciano uno dei migliori film d'animazione Disney di sempre. Da vedere (fino all'ultimo dei titoli di coda, badate bene), rivedere e da acquistare in bluray per lo spettacolo visivo offerto.